Web Tax, OCSE prende tempo: accordo slitta ancora

Slitta di almeno sei mesi – non più fine 2020 ma metà 2021 – l’obiettivo di raggiungere in sede OCSE una soluzione internazionale condivisa sulla webtax.

Rallentamento causato dall’emergenza sanitaria e divergenze politiche emerse nel corso dei delicati negoziati, che coinvolge ben 137 Paesi, hanno frenato la corsa versa l’intesa.

In un dettagliato rapporto di aggiornamento pubblicato dall’ Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in vista della prossima riunione dei ministri delle Finanze e dei Governatori delle Banche centrali del G20 che si terrà il 14 ottobre, si evidenziano “progressi consistenti” verso una soluzione condivisa, cercando di glissare sul mancato accordo e aggiungendo che “la comunita’ internazionale” ha accettato di “continuare a lavorare” puntando ad un accordo per metà dell’anno prossimo.

Tradotto: si continua a negoziare sperando che arrivi presto la fumata bianca. Anche perchè, avvisa l’OCSE l’assenza di una soluzione basata su un consenso “potrebbe portare ad un moltiplicarsi delle tasse sui servizi digitali e un aumento della frequenza delle controversie commerciali e fiscali”. “Nel peggiore scenario – – una guerra commerciale mondiale suscitata dall’adozione di tasse unilaterali sui servizi digitali, potrebbe tagliare il PIL mondiale di oltre l’1% annuo”.

Quindi l’avvertimento del segretario generale, Miguel Angel Gurria: “E’ chiaro che nuove regole sono necessarie con urgenza per garantire l’equità e la giustizia dei nostri sistemi fiscali e adattare l’architettura fiscale internazionale dinanzi all’emergere di nuovi modelli di business e alla trasformazione di quelli più vecchi. In assenza di soluzione mondiale fondata sul consenso, il rischio di nuove misure unilaterali e non coordinate è reale e aumenta di giorno in giorno”.

Intanto, secondo quanto scrive il Financial Times, l’Unione europea sta stilando una lista di una ventina di grandi società di internet, che probabilmente includeranno giganti statunitensi come Facebook e Apple, che saranno soggetti a regole più stringenti con l’obiettivo di frenare il loro potere sul mercato. Le piattaforme dovranno rispettare un regolamento più severo nei confronti dei concorrenti più piccoli e saranno obbligate a condividere i dati con questi, oltre a essere più trasparenti sulla raccolta delle informazioni.

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