Un dolore dignitoso, dove il conforto e il silenzio della preghiera, sostituiscono il rumore assordante dell’evento mediatico. Questa è da un anno Brembate di Sopra, e questa è da un anno la vita della famiglia della piccola Yara, la cui morte resta ancora un mistero. 365 giorni non sono bastati per dare un volto all’assassino.,Ci si interroga ancora su chi, il 26 novembre 2010, ha rapito e ucciso la tredicenne, strappandola per sempre all’affetto dei suoi cari, e alla sua più grande passione, la ginnastica ritmica. Oggi verrà celebrata una messa nella chiesa parrocchiale e per ricordarla le sarà intitolata la palestra della scuola delle suore Orsoline a Bergamo che lei frequentava. Non sarà pubblicato, invece, il volumetto con centinaia di messaggi raccolti dal parroco don Corinno, ‘bocciata’ perchè ritenuta prematura l’idea di dedicarle la palestra dove si allenava e dove e’ stata vista l’ultima volta, prima di essere inghiottita dal buio. E la famiglia si batte ancora affinché venga fuori la verità. Vogliono dare un volto all’aguzzino che ha ucciso e abbandonato Yara in un campo a Chignolo d’Isola, dove è stata trovata il 26 febbraio. In via Rampinelli, mamma Maura e papà Fulvio, si stringono ai loro tre figli, Keba, Gioele e Natan, proteggendoli da tv e giornali, la cui sete di notizie, potrebbe logorare la “serenità” dei loro piccoli. Intanto, le indagini. non si fermano. “Siamo speranzosi” dice il pm Letizia Ruggeri. I numeri dell’inchiesta forniscono, più delle dichiarazioni, la cifra degli sforzi di inquirenti e forze dell’ordine. “Sono 10mila circa i Dna prelevati dagli investigatori -spiega- e 8mila quelli già confrontati” con le tracce trovate sui leggings e gli slip che indossava Yara. Comparazioni che, al momento, non hanno fornito la svolta tanto attesa. “Circa 12mila le telefonate intercettate” con il sistema di analisi investigativa Sfera, “centinaia le persone ascoltate” per verificare alibi, cercare presunti testimoni o spunti investigativi.
Nelle ultime settimane l’attenzione si è concentrata su un ragazzo che frequenta la discoteca vicino a dove è stato scoperto il corpo di Yara. Il suo profilo genetico presenta alcuni punti di contatto con la traccia isolata sugli indumenti della vittima. Somiglianze, ma non compatibilità o corrispondenze piene. Il profilo genetico isolato, su cui lavora anche l’Fbi, appartiene probabilmente a un uomo riconducibile al ceppo lombardo, ma l’assassino per ora non ha ancora un nome. “Il campione di Dna che abbiamo è molto ampio e non ci consente -sottolinea il pm Ruggeri- di circoscrivere i sospetti. Se statisticamente potrebbe essere un uomo italiano il killer, non possiamo escludere che sia una persona dell’Est Europa”. Il magistrato è fiducioso: “sono stati fatti tantissimi passi avanti, ma non possiamo dire che siamo vicini alla svolta. Prosegue la raccolta di campioni di Dna, speriamo di trovare domani l’assassino ma potrebbe volerci ancora tempo”..
La scomparsa di Yara: Yara scompare il 26 novembre dello scorso anno. Sono le 18.30 quando la tredicenne esce dal centro sportivo dove è andata a portare uno stereo per una gara prevista la domenica successiva. L’ultima a vederla è una sua insegnante di ginnastica ritmica. Dei 700 metri che separano il centro sportivo da casa Gambirasio, Yara percorre solo pochi passi. Alle 18.49 il suo cellulare Lg nero viene spento per sempre. L’ultima cella che aggancia è quella vicino al cantiere di Mapello dove oggi sorge un centro commerciale e dove lavorava Fikri. Un cantiere a cui porta anche il fiuto dei cani usati per le ricerche, mentre l’autopsia rivela che nei polmoni della giovane studentessa ci sono tracce di polvere tipica dei cantieri.
E’ l’autopsia a fornire le prime risposte ai tanti dubbi degli inquirenti, mentre il ritrovamento della 13enne a non più di 300 metri dal comando dei vigili e sede del comando interforze per cercare di riportarla a casa, sembra quasi un depistaggio. Ci sono voluti tre mesi, per trovare il corpo della piccola, nel frattempo flagellato da neve e sterpaglie. Poi, un appassionato di aeromodellismo la vede e dà l’allarme. La giovane era viva ma incosciente quando il suo assassino l’ha abbandonata in un campo in via Bedeschi a Chignolo d’Isola, a meno di dieci chilometri da casa. A ucciderla, secondo quanto contenuto nella relazione firmata dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo, un insieme di concause: la ferita alla testa provocata forse con un sasso, le coltellate (i quattro tagli alla schiena, quelli al collo e ai polsi) e l’insufficienza respiratoria dovuta a un probabile tentativo di strangolamento. Nessuna delle ferite è stata mortale: l’assassino ha lasciato Yara in mezzo al campo incolto credendola morta, il decesso invece è avvenuto in seguito, quando alle ferite si e’ aggiunto il freddo. Yara era agonizzante, priva di sensi, incapace di spostarsi e chiedere aiuto, ma quando chi l’ha colpito le ha voltato le spalle lei era ancora viva. Sulla base dell’angolazione e della profondità delle ferite, chi ha infierito è alto più o meno un metro e settantacinque. Un’aggressione a scopo sessuale, l’ipotesi più accreditata, mentre l’idea che maggiormente serpeggia è che la giovane promessa della ginnastica conosceva chi l’ha uccisa. Potrebbe essersi fidata dal suo aguzzino e aver accettato un passaggio in auto per arrivare a casa prima. Da spiegare resta perché non indossasse i suoi guanti neri, trovati in una tasca del giubbotto, e perché , sempre in tasca, avesse la sim e il cellulare. Qualcuno l’ha costretta a disfarsi della batteria (mai trovata) del cellulare? Perché non disfarsi anche del resto? Yara era una vittima casuale o prescelta? Sono queste le domande a cui gli inquirenti da un anno, cercano di dare una risposta.
“Dall’inizio dell’inchiesta abbiamo fatto tantissimi passi in avanti e spero -aggiunge il pm Ruggeri- che tutto questo lavoro non sia vano. Le forze dell’ordine continuano a raccogliere campioni di Dna, continuiamo ad ascoltare persone, verifichiamo segnalazioni ‘strampalate’, indicazioni fornite da alcuni sensitivi e riceviamo ancora lettere con informazioni destituite da ogni fondamento”. Indagini, dunque, che non tralasciano nulla. Il tutto senza dimenticare la prudenza, dopo il passo falso dell’arresto di Fikri. Le testimonianze di un ragazzo, l’ipotesi di un furgone bianco, il racconto di una donna che dice di aver visto due auto, non hanno portato a nulla. La pista di un operaio polacco, allontanatosi da Brembate subito dopo la morte di Yara, è stata presto scartata: il telefonino dell’uomo ‘catturava’ altre celle rispetto al telefonino della 13enne. Un buco nell’acqua anche la ricerca negli affari della famiglia Gambirasio: dalla criminalità organizzata alla vendetta nei confronti del padre, tutte le ipotesi sono state scartate. Inutile scavare nella vita della vittima: nessun fidanzatino, nè doppia vita in chat. Per lei che sognava di diventare una ginnasta c’era solo la scuola e la palestra dove, il 28 maggio scorso, sono stati celebrati i suoi funerali.
C.I