«Le dimissioni di Nicola Zingaretti non mi lasciano indifferente. Seguo con rispetto e non intendo commentare le dinamiche di vita interna del Partito Democratico. Ma rimango dispiaciuto per questa decisione, evidentemente sofferta». L’ex premier Giuseppe Conte commenta così in un post su Facebook le dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario del Partito democratico.
Non avevo avuto occasione, prima della formazione del governo precedente, di conoscerlo – aggiunge Conte – Successivamente, ho avuto la possibilità di confrontarmi con lui molto spesso, in particolare dopo lo scoppio della pandemia. Ho così conosciuto e apprezzato un leader solido e leale, che è riuscito a condividere, anche nei passaggi più critici, la visione del bene superiore della collettività.
I più intransigenti, all’indomani della mossa di Nicola Zingaretti, sono pronti a sottolineare come il Pd in realtà non sia mai nato. Fusione a freddo, partito di palazzo, contenitore che rincorre e non indica una visione. Eppure, per è esistito per una generazione, quella democratica che si è avvicinata alla politica con e grazie al Pd nato al Lingotto, capace di raccogliere il 33% alle politiche, la prima e unica volta nella sua storia. Altri tempi, altro schema politico.
In realtà, questo è sembrato ai più un modo per non affrontare il dilemma di un partito, l’identità, come se esistesse l’identità di un partito in una società in costante divenire e con accelerazioni costanti. Eppure, ancora oggi tutti si chiedono cosa sia il Pd?
Cosa sia oggi, francamente, è poco rilevante. In cosa si sia trasformato negli ultimi anni è, con ogni probabilità, la questione dirimente.
Appena nato, ma già da prima, durante la fase di scioglimento dei partiti e delle storie che lo composero, si ragionava se fosse più appropriata la parola “centrosinistra” o “centro-sinistra”. Come ovvio, la questione non era di natura semantica, bensì identitaria e programmatica. Tant’è che per anni si è discusso su quale fosse la casa europea del Pd, visto che in nessun altro paese europeo esisteva una formazione figlia di una tale fusione, a caldo o fredda che sia stata.
Non è passato inosservato il silenzio del governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. Molti nel partito lo vorrebbero come sostituto di Zingaretti, lui che pare l’unico in grado di prospettare al Pd una vittoria contro il centrodestra a trazione leghista. Soprattutto dopo che a gennaio 2020 è riuscito (da solo, senza l’alleanza con il M5S) a rivincere le regionali di fronte alla marea verde che minacciava di straripare anche nell’ex Italia rossa.
Bonaccini è esponente di quella tradizione pragmatica emiliano-romagnola della sinistra, che ha radici fin dai tempi del Pci. Nato e cresciuto a Campogalliano, in provincia di Modena, ha fatto la gavetta sia a livello amministrativo che nel partito: nel 1993 è segretario provinciale della Sinistra giovanile, l’organizzazione giovanile del PDS. Nel 1995 viene eletto segretario del PDS della città di Modena, mentre dal 1999 al 2006 ricopre il ruolo d’assessore al comune di Modena con delega ai lavori pubblici. Nel 2007 è eletto segretario provinciale della sezione modenese del neonato Partito Democratico e alle elezioni amministrative del 2009 viene eletto consigliere comunale a Modena. Nello stesso anno, dopo il successo alle primarie, diventa segretario del PD in Emilia-Romagna, quale espressione locale della “mozione Bersani”.
“Qualsiasi scelta farà l’assemblea la rispetterò”. Lo ha detto il segretario dimissionario del PD Nicola Zingaretti durante l’inaugurazione di un playground alla periferia di Roma.
“Il tema non è un mio ripensamento. Ma mi auguro che il mio gesto aiuti il PD a ritrovare la voglia di discutere anche con idee diverse ma con più rispetto e efficacia”.
“Salvini stia tranquillo, il governo Draghi è forte e solido, andrà avanti e troverà il Pd al 1000 per 1000 per portare avanti il programma. Io ce l’ho messa tutta ma non c’è l’ho fatta a cambiare questo clima. Ho fatto un passo di lato, non scompaio”.
“Leggetevi lo statuto. Non è previsto”. Così il segretario dimissionario del PD Nicola Zingaretti ha risposto a chi lo ha interpellato sulla eventualità che l’assemblea dem rigetti le sue dimissioni.
“Un grandissimo grazie a tutte e a tutti coloro che in queste ore, da ieri sera, mi hanno scritto e mi stanno scrivendo. Nei prossimi giorni andrò a rinnovare la tessera del Pd per il 2021, perché rimango convinto che sia la grande forza popolare che può garantire a questo Paese il buon governo e l’alternativa alle destre che cavalcano i problemi e non li risolvono”, scrive Nicola Zingaretti su Facebook, ribadendo quanto affermato questa mattina a margine di un evento a Roma. “Il governo Draghi è forte e andrà avanti”, sottolinea. “Per quanto riguarda me, la questione non è quella di un mio ripensamento: non è un tema di ripensamento che non c’è e non ci sarà. Piuttosto penso debba essere il gruppo dirigente a fare un passo in avanti nella consapevolezza di avere un confronto più schietto, franco e plurale ma anche solidale sul ruolo del Pd, sui valori di riferimento, sulla nostra idea dell’Italia e dell’Europa. Io non ce l’ho fatta ad ottenerlo, perché più che il pluralismo ha prevalso la polemica. Ho fatto dunque un passo di lato. Spero che ora questo confronto sia possibile”.