E’ previsto mercoledì 25 marzo al Teatro Mercadante di Napoli , il debutto in prima nazionale dello spettacolo Zio Vanja, di Anton Cechov, con la regia di Pierpaolo Sepe e la collaborazione drammaturgica di Armando Pirozzi, nuova produzione del Teatro Stabile di Napoli nell’ambito del focus Cechov della Stagione, in scena fino a domenica 19 aprile. Nei costumi di Gianluca Falaschi, le luci di Cesare Accetta e le scene di Carmine Guarino, lo spettacolo è interpretato da Paolo Serra, nel ruolo di Aleksandr Vladimirovič Serebrjakov, professore a riposo; Gaia Aprea, in quello di Elena Andreevna, sua moglie; Federica Sandrini è Sonja, figlia di primo letto del professore; Giacinto Palmarini è Ivan Petrovič Vojnickij (Zio Vanja) suo figlio; Andrea Renzi è Michail L’vovič Astrov, medico; Diego Sepe è Il’ja Il’ič Telegin, ex proprietario, ora in miseria; Fulvia Carotenuto è Marina, vecchia bambinaia, Mar’ja Vasil’evna Vojnickaja, madre della prima moglie del professore e di Ivan Petrovič Vojnickij (Zio Vanja), in voce registrata di Sara Missaglia. «Cechov non consente alcuno spazio alla vanità di attori e registi; esige onestà, attenzione e cura e, quindi, i criteri rappresentativi non possono che fondarsi sul principio dell’essenzialità, quasi della nudità», scrive il regista Pierpaolo Sepe nelle note allo spettacolo. «Abbiamo cercato di resistere a qualsiasi tentazione di spettacolarizzazione per non sottrarre potenza e poesia al testo. Abbiamo cercato di raggiungere tutti i significati che il testo contiene per restituirli con la forza e la grazia necessari. La storia e le problematiche che essa contiene pare non siano invecchiate e ci si ritrova, quindi, a parlare di noi, delle nostre piccole e meravigliose vite, delle nostre paure e dei nostri sogni, di tutto ciò che abbiamo perso, di tutto ciò che abbiamo avuto. Alla fine sembra trionfare la profonda immoralità delle nostre esistenze, l’incapacità di risollevarsi e di raggiungere una felicità seppur apparente, e Cechov pare deriderci, raccontandoci come esseri patetici, ridicoli, mortificati e dolenti. Eppure a me piace scorgere, dietro la velenosa ironia, dietro le intelligenti architetture, una compassione fraterna di chi si duole e si strugge del proprio destino, della propria sorte e di chi, nei suoi racconti e nei suoi testi, ha versato tutte le sue lacrime. Forse davvero la vita ci ha ingannati, ma forse non poteva andare altrimenti». Armando Pirozzi, che ha collaborato con il regista alla drammaturgia, dichiara: «La cosa che ci interessava davvero di Zio Vanja erano in fin dei conti solo i personaggi. Non nella stratificazione geologica che hanno accumulato negli anni, ma nella loro attuale vitalità, nella forza che hanno di esplorare sentimenti non mummificati, ma ancora validi, ancora da tutti vissuti e compresi, e che, raccontati con chiarezza e sincerità, possono ancora trasmettere profonde emozioni…Per questo, abbiamo deciso di rendere attuale l’azione dei personaggi, una attualizzazione non tanto delle date, ma dei corpi, della gestualità, del modo di vivere e di soffrire, per afferrare quanto di ancora vivo e di universale c’è in Zio Vanja».
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